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Emile Zola

Pubblicato Venerdì, 25 Maggio 2012 21:57
Riportiamo senza ulteriori commenti alcuni brani tratti dal romanzo L’ammazzatoio (L’assommoir) del grande scrittore francese Emile Zola (1840-1902):

“(…) Oh! Non se la prendeva, lui; li avrebbe raggiunti in un lampo; e chiese tre volte la minestra, scodelle piene di vermicelli in cui metteva enormi fette di pane. Quando poi dette l’assalto ai pasticci, suscitò la profonda ammirazione di tutta la tavolata. Come divorava! I camerieri, sbigottiti, facevano la catena per passargli il pane, a fette molto sottili, che lui mandava giù in un boccone. A un certo punto si arrabbiò: pretese che gli mettessero vicino una pagnotta intera. Il padrone, molto preoccupato, si affacciò un momento sulla porta del salone. Tutti, che da un pezzo aspettavano la sua comparsa, risero a crepapelle. Era un gran brutto giorno, per l’oste! Che tipo, quel Mes-Bottes! Una volta aveva mangiato dodici uova sode e bevuto dodici bicchieri di vino mentre battevano i dodici rintocchi di mezzogiorno! Non se ne incontrano molti di quella forza! Mademoiselle Remanjou, tutta commossa, guardava Mes-Bottes che continuava a masticare, mentre Monsieur Madinier, dopo aver cercato le parole più appropriate per esprimere uno stupore quasi rispettoso, dichiarò che una simile capacità era assolutamente straordinaria.

(…) Mes-Bottes continuava instancabilmente a mangiare. Aveva chiesto ancora pane. Divorò i due formaggi, la frutta e il dolce, e poi, dato che era rimasta un po’ di crema, si fece dare l’insalatiera, in fondo alla quale mise grosse fette di pane, come se fosse stata una scodella di minestra.
<Questo signore è staordinario!>, disse Monsieur Madinier, pieno di ammirazione.
Gli uomini si alzarono per prendere le pipe. Si fermarono un momento dietro a Mes-Bottes, dandogli delle pacche sulle spalle, e domandandogli se si sentiva meglio. Bibi-la-Grillade cercò di sollevarlo insieme alla sedia, ma, perdinci! Il bestione ora pesava il doppio. Coupeau, scherzando, disse che l’amico cominciava appena appena a prenderci gusto, e che avrebbe continuato a mangiare pane per tutta la notte. I camerieri, terrificati, scomparvero.”

“E il vino, figli miei, scorreva intorno alla tavola come l’acqua scorre nella Senna. Un vero rivolo, come quando ha piovuto e la terra ha sete. Coupeau versava dall’alto, per veder schiumare il getto rosso, e quando la bottiglia era vuota faceva sempre lo stesso scherzo: la rovesciava e le stringeva il collo come le donne che mungono le vacche. Un’altra bottiglia cadavere! In un angolo della bottega, cresceva il mucchio dei cadaveri, un cimitero di bottiglie su cui venivano buttati gli avanzi dei cibi. Madame Putois chiese un po’ d’acqua, ma lo zincatore, indignato, levò lui stesso le caraffe dalla tavola. Bevono forse acqua, le persone perbene? Voleva mica che le nascessero le ranocchie nello stomaco!
I bicchieri si vuotavano con un sorso; si sentiva il vino, inghiottito in fretta, scendere nelle gole col rumore dell’acqua piovana lungo i tubi di scarico, durante i temporali. Pioveva vino! Un vino che, all’inizio, sapeva un po’ di botte vecchia, ma a cui ci si abituava subito, tanto che alla fine sembrava sapesse di nocciola.”

“Ma bisogna anche dire che Coupeau e Lantier si concedevano insieme delle formidabili scorpacciate. (...) Lo zincatore avrebbe preferito scorpacciate più alla buona, ma era impressionato dai gusti aristocratici del cappellaio, che trovava sul menu nomi di cibi straordinari. Era difficile immaginare un uomo altrettanto raffinato, di gusti così difficili. (...) Ma, nonostante ciò, tutti davanti a lui tremavano, ed era ben conosciuto nei ristoranti sui viali di circonvallazione, dalle Batignolles a Belleville. I due amici andavano sulla Grande-Rue delle Batignolles a mangiare trippa alla moda di Caen, che veniva loro servita su piccoli scaldavivande. Nella parte bassa di Montmartre trovavano le migliori ostriche del quartiere alla Ville de Bar-le-Duc. Quando si azzardavano a salire in cima alla collina, fino al Moulin de la Galette, assaporavano un coniglio al salto cucinato apposta per loro. I Lilas, in rue des Martyrs, avevano la specialità della testina di vitello, mentre, a chaussée Clignancourt, i ristoranti del Lyon d'Or e dei Deux Marronniers servivano rognoni saltati da leccarsi le dita. Ma più spesso voltavano a sinistra, verso Belleville, dove avevano un tavolo riservato alle Vendanges de Bourgogne, al Cadran Bleu, al Capucin, ristoranti di fiducia, dove si poteva mangiare qualsiasi cosa, a occhi chiusi. Erano escursioni fatte alla chetichella, di cui parlavano l'indomani mattina, con allusioni velate, mangiando svogliatamente le patate di Gervaise.”

(Emile Zola, L’assommoir, trad. di Luisa Collodi, Newton Compton, Roma 1995)