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Voci dal Salone: I miracoli di San Daniele

Se c'è un argomento su cui le Locuste possono dire di aver accumulato una certa esperienza, quello è il prosciutto: a testimoniarlo ci sono le foto delle ormai innumerevoli edizioni di Ora ProSciutto, la nostra grande festa dedicata appunto al salume per eccellenza. Certamente, però, le nostre modalità di consumo poco ortodosse non corrispondono alle tecniche di taglio e conservazione ideali, illustrate impeccabilmente da Michele Leonarduzzi, ispettore del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, nel corso di un interessante laboratorio tenutosi durante l'ultima edizione del Salone del Gusto. In sintesi, i consigli sono tre: tagliare ovviamente a mano, con un coltello lungo e sottile; iniziare dalla culatta, la zona più larga del prosciutto; tenere in alto la parte più grassa perché il peso del grasso (che deve essere abbondante per assicurare la qualità e la dolcezza) spinga la fetta verso il basso. E poi conservare il prosciutto avanzato (sempre che ne avanzi!) cospargendolo con un filo d'olio e ricoprendolo con un panno, se non c'è la possibilità di metterlo sottovuoto. "Tutto giusto - confida Leonarduzzi - ma c'è un trucco ancora più semplice: fare le fette corte. Anche se non si riesce a tagliare il prosciutto molto sottile, è sufficiente che le fette siano brevi perché venga comunque apprezzato". Più sorprendente l'altra "confessione" dell'ispettore del Consorzio: "Di fatto la differenza tra Parma e San Daniele è minima: le cosce provengono dagli stessi allevamenti, circa 3200, e anche i controlli vengono effettuati insieme. Poi ci sono due diversi metodi di lavorazione: noi teniamo il prosciutto sotto sale un giorno per ogni chilo di peso (la coscia pesa generalmente dai 12 ai 17 kg, n.d.r.), mentre loro dosano il sale, quindi molto dipende dall'abilità del salatore, che è una figura molto importante a Parma. Noi, inoltre, pressiamo il prosciutto avvicinando le fibre muscolari, quindi il nostro prodotto ha una carne più consistente rispetto al loro, che risulta più morbido. Però alla fine, al di là dell'aspetto estetico e quindi della presenza o meno dello zampino, le differenze sono poca cosa". Cambiano, aggiungiamo, anche i volumi di produzione: oltre 9 milioni di prosciutti annui a Parma, mentre in Friuli ci si ferma alla rispettabile cifra di 2,5 milioni circa.

Ma come si fa a mantenere elevato il livello del prodotto con numeri così imponenti? "I controlli danno buone garanzie. Certo, è naturale che chi elabora 200 cosce a settimana le segua più attentamente di chi ne fa 5000, perciò il grande produttore tende a standardizzare il prodotto, mentre il piccolo punta sulla qualità anche a scapito della standardizzazione, quindi a volte si ritrova con prosciutti eccezionali e altri sotto la media. Le piccole aziende, inoltre, tendono a fare esperimenti particolari, magari andando al limite della salatura, e possono anche finire fuori dalle regole imposte dal disciplinare. Un esempio può chiarire il tutto: una volta, quando non c'erano le celle di refrigerazione, a San Daniele si salava solo d'inverno. D'estate venivano prodotti dei prosciutti buonissimi, con profumi eccezionali, però il numero degli scarti rispetto ad allora è diminuito in maniera incredibile". Insomma, la standardizzazione elimina le punte più alte ma anche quelle più basse, come spesso accade; si tratta però di un processo indispensabile anche per soddisfare l'enorme richiesta dall'estero. "Abbiamo un mercato importante - spiega Leonarduzzi - sia in America, sia in Giappone, dove il nostro prodotto è molto apprezzato; e poi in Europa, anche se bisogna fare un distinguo. In Francia, infatti, il prosciutto piace perché la cultura enogastronomica è molto simile alla nostra; in Germania invece il successo è legato all'amore per i prodotti italiani in sé, quindi c'è il rischio che qualcuno ci copi e dia il nome di San Daniele ad altri prosciutti".

Un altro pericolo, forse non così remoto, è che i gusti degli acquirenti stranieri possano modificare le modalità di produzione: "Questo lo evitiamo grazie ai controlli, per fortuna il Consorzio impone regole che sono identiche per i piccoli e i grandi produttori: il test sulle materie prime, ad esempio, viene effettuato sempre sul 50% delle produzioni. Si cerca in tutti i modi di standardizzare anche in questo senso. Poi è naturale: se fanno i soldi falsi, magari qualcuno fa anche il San Daniele falso, è già successo". Infine il Salone del Gusto: le piccole aziende lo trovano fondamentale per farsi conoscere, ma un marchio già noto quali benefici può trarne? "Tantissimi - risponde convinto Leonarduzzi - perché le fiere di settore possono servire, ma alla fine quello che conta è il parere del pubblico. Il Salone ci permette di raggiungere innanzitutto le scuole, i bambini, che bisogna educare fin da piccoli a riconoscere il gusto delle cose buone. Mio figlio la sera quando torna da scuola mi chiede spesso: mi affetti del prosciutto? Giuro che non gliel'ho imposto, è lui a chiederlo e io glielo dò volentieri, piuttosto che lasciargli mangiare merendine o... altre cose che non nomino".

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