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Divino Andino

Ci sono libri che ti conquistano ancora prima di averli letti, per il tema e per le suggestioni che evocano: non c'è dubbio che sia questo il caso di "Divino Andino", il racconto del viaggio di Francesco Antonelli attraverso Perù, Bolivia, Argentina e Cile. Un viaggio che, come si può facilmente intuire dal titolo e soprattutto dal sottotitolo "Viaggi e assaggi all'ombra della Cordigliera", ha un carattere prevalentemente enologico o, se si vuole, enoturistico: il lungo percorso dell'autore è una progressiva scoperta della realtà vinicola del Sudamerica, dalle contaminazioni peruviane ai misconosciuti vini d'altura della Bolivia, fino all'apoteosi del Malbec argentino. Ovvio che anche per questo il volume edito da Polaris (269 pagine, 13 €) ci abbia subito colpito, riportandoci alla mente dolci ricordi della nostra visita a Mendoza (vedi il reportage Argentina para principiantes). Ma l'opera di Antonelli è molto di più di un diario o di una guida: lo si potrebbe definire senza timore un romanzo di formazione, se si pensa che l'autore ha passato oltreoceano più di quattro mesi, lasciandosi alle spalle un lavoro da informatico per seguire il cuore, sotto le spoglie della fidanzata di origine peruviana Marisol, e soprattutto il desiderio di avventura.

Il viaggio di Antonelli inizia a fine 2013 e si svolge quasi tutto con mezzi di fortuna o quasi: armato di zaino e di tanta pazienza, l'autore si sposta a bordo di poderosi autobus di linea per raggiungere le meraviglie di Machu Picchu e del Lago Titicaca, ma anche per scoprire le distillerie in cui si produce il pisco, la famosa - e famigerata - acquavite peruviana. Da qui il passaggio in Bolivia, con una puntata nella regione di Tarija dove si producono vini ancora per certi versi misteriosi, e poi la discesa in Argentina lungo la Ruta 40, fino a raggiungere Mendoza, capitale del Malbec. Infine una breve tappa in Cile, a Santiago e Valparaiso. Il tutto per scoprire prodotti peculiari e molto diversi tra loro, come lo stesso autore racconta in un'intervista a No Borders Magazine: "Le caratteristiche dei vini che ho bevuto cambiano molto a seconda delle abitudini dei consumatori del luogo. Ad esempio in Perù, dove il consumatore non è abituato al vino secco, si preferisce sempre abboccato, cioè tendente al dolce. In Argentina e in Cile i gusti sono molto più simili ai nostri, anche per effetto di una maggior contaminazione con l’Europa. I vini boliviani e del nord dell'Argentina sono detti "di altura" perché le viti crescono oltre i 1000 metri di altezza in territori molto particolari: aridi, soleggiati, con notti fresche. Queste caratteristiche danno ai rossi una maggiore concentrazione di sostanze dette fenoliche, che arricchiscono il prodotto finale."

In fondo però, come dice la bella prefazione di Giorgio Melandri, "il vino è un pretesto, è come sempre l'anima di una trama che parla soprattutto di uomini". E infatti Divino Andino pullula di personaggi, dagli autoctoni ai viaggiatori, tutti accomunati da un atteggiamento cordiale e disponibile nei confronti del prossimo. Per citare ancora la prefazione: "Antonelli è un cronista senza le malizie del mestiere e ci prende per mano per migliaia di chilometri, ci accompagna per strade improbabili e lascia parlare tutti, senza una vera e propria gerarchia, perché solo in America Latina i perdenti sono così vincenti". Di sicuro a qualcosa il viaggio è servito: da circa un anno l'autore ha aperto un'enoteca a Ravenna, trasformando la sua passione in una ragione di vita!

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