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La carica dei duecentomila

Ogni volta che si ha a che fare con eventi organizzati dagli amici di Slow Food, un dubbio strisciante pervade le menti: ci troviamo di fronte a fanatici utopisti, depositari dell'ultimo ideale ancora sopravvissuto, o a scaltri volponi del marketing capaci di sfruttare al massimo le potenzialità di un marchio vincente? Probabilmente la risposta esatta è "nessuna delle due", ma è più affascinante pensare che siano vere entrambe le ipotesi; soprattutto davanti all'incredibile successo di una manifestazione come il Salone del Gusto 2010, chiuso il 25 ottobre a Torino con l'ennesima sfilza di record nel carniere. Tanto per citare qualche numero: oltre 200.000 visitatori (si attendono stime più precise), dei quali circa il 30% stranieri, 910 espositori contro i 620 dello scorso anno, 5000 adulti e oltre 1000 bambini iscritti ai corsi di educazione alimentare di Slow Food. Non conta solo la quantità, d'accordo, e certo c'è da "scremare" tutta quella parte di pubblico convinta di trovare nel Salone un'occasione per mangiare a sbafo (finendo per spendere, già tra ingresso e parcheggio, più che al ristorante...); ma queste cifre sono anche la dimostrazione che, se proprio bisogna ragionare in questi termini, esiste un enorme "mercato" per la qualità, o meglio che l'opposizione tra qualità e mercato non ha più alcuna ragion d'essere.

Lo si era già detto in tutte le lingue, lo aveva anticipato il successo di altri progetti come Eataly, ma in tempi di crisi dà ancora più soddisfazione vedere ribaditi concetti solo apparentemente alimentari: la qualità nell'alimentazione paga e spesso permette addirittura di risparmiare, se non in termini meramente economici, senz'altro sul piano del benessere, del piacere personale, della salute. E il discorso vale sia per i prodotti alimentari in sé, sia per tutto quello che ruota intorno al settore, come le guide: la novità "Slow Wine" è andata a ruba, mentre in occasione del Salone è stata presentata anche la nuova edizione di "Osterie d'Italia", 912 pagine per 226 locali recensiti.
L'altro aspetto interessante e suggestivo della manifestazione è il confronto tra culture: ancora una volta ha lasciato senza fiato il colpo d'occhio sul salone d'ingresso di Terra Madre, la convention mondiale di agricoltori, allevatori, cuochi e altri lavoratori del settore agricolo, stracolmo di delegati da ogni parte del mondo, ciascuno con il suo costume tradizionale e i suoi prodotti tipici. Così come hanno riscosso enorme successo gli stand dei Presìdi stranieri, dai formaggi svizzeri alle aringhe norvegesi, fino all'irresistibile yogurt alla cenere (!) etiope.

Ma al di là dell'apprezzabilissimo aspetto folcloristico, questo incrocio di popoli e paesi ha portato anche risultati concreti: panel di esperti che si sono confrontati sui temi "caldi" dell'alimentazione, gruppi di lavoro che hanno dato vita a documenti da presentare agli organismi governativi internazionali, laboratori avviati all'estero (Slow Food Toscana ha avviato iniziative in Macedonia, Kenya, Marocco e Georgia) e iniziative sovranazionali. Tra queste merita l'onore della chiusura il progetto "1000 orti in Africa", appoggiato da venti leader africani, che vedrà coinvolti agronomi italiani e africani e un team di esperti in energie rinnovabili con a capo Jeremy Rifkin: non a caso, proprio il teorico della Locusta...

(Articolo pubblicato su VareseNews del 26 ottobre 2010)

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