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Drowning in a sea of wine

Tanto per non rimanere incastrati nei soliti pistolotti filosofici sulla bellezza e l’incompiutezza del Vinitaly, partiamo dalle notizie. E le notizie più significative sono due. La prima è che la fiera di Verona, alla sua quarantacinquesima edizione, ha battuto per l’ennesima volta ogni record: 156.000 i visitatori nei cinque giorni della manifestazione, dal 7 all’11 aprile, e di questi 48.000 sono stranieri, il 3% in più rispetto al 2010. Anche volendo fare la tara sui numeri diffusi dall’organizzazione, sono cifre importanti, che confermano i trend previsti alla vigilia soprattutto per quanto riguarda le visite dall’estero (che, per la cronaca, non arrivano solo da Germania e USA, ma anche da Russia, Cina e Hong Kong). La seconda notizia, già anticipata nei giorni scorsi: per il 2012 il Vinitaly cambierà faccia, abbandonando la tradizionale collocazione del fine settimana e riducendo di un giorno la durata della manifestazione. Si aprirà da domenica 1° aprile a giovedì 4, oltretutto proprio nella settimana che precede la Pasqua. Ora la domanda, come diceva qualcuno, sorge spontanea: non c’è forse una piccola contraddizione? Da una parte si vantano, a buona ragione, gli eccezionali risultati di pubblico, e dall’altra si prendono misure che tenderanno a ridurlo il più possibile. Qualcosa di strano c’è, ma bisogna saper leggere tra le righe: il dato più importante dell’edizione 2011 è indubbiamente la crescita del 10% dell’afflusso di operatori nelle tre giornate dedicate prevalentemente al business (giovedì, venerdì e lunedì), ed è proprio su queste che gli organizzatori vogliono lavorare, lasciando in secondo piano il pubblico generico.

In effetti, analoghe considerazioni erano state espresse durante la fiera da molti operatori: troppa gente, troppi curiosi, mai abbastanza tempo per presentare al meglio il proprio prodotto e combinare gli affari veri. Per quanto ci riguarda, data la nostra posizione in bilico tra “esperti” e “plebei”, siamo dubbiosi: da una parte il Vinitaly nasce senz’altro come fiera e dunque come momento di confronto tra gli operatori del settore, dall’altra però l’apertura al pubblico (peraltro mai ufficiale) ha accresciuto negli anni il fascino e il prestigio dell’evento, fino a renderlo forse il più seguito al mondo nell’intero settore enogastronomico. Vedremo se la svolta avrà l’effetto sperato…
Lasciamo ora da parte i problemi di calendario e di marketing per passare ai contenuti che più ci interessano: quelli delle bottiglie, ovviamente. Anche in questo Vinitaly si è visto di tutto: vendemmiatrici intelligenti (che scelgono i grappoli in base alla qualità) e ministri un po’ meno, interessanti dibattiti sul consumo interno e patti forse scellerati tra cantine e grande distribuzione, fino alle iniziative dei “ragazzi terribili” di Tweet Your Wines che, tra le altre cose, hanno proposto un concorso a premi basato sull’applicazione FourSquare e un contest fotografico a tema. Sul piano strettamente vinicolo, invece, difficile individuare delle vere e proprie novità: semmai la conferma di tendenze in atto, come l’ “americanizzazione” dei vini, che perdono via via l’acidità e diventano sempre più dolci per incontrare i gusti degli stranieri (sempre loro!). Ce lo confermano la regina della Valpolicella Elena Coati (Corte Rugolin), ma anche gli insospettabili marchigiani dell’azienda Pieri, che quest’anno si sono lanciati su un nuovissimo Merlot che “sembra un Amarone”… Altro trend molto in voga è il vino, diciamo così, torbido, oppure “col fondo”, o sur lie (ma non si può più dire perché i francesi hanno registrato il marchio): insomma, quello ottenuto dalla rifermentazione in bottiglia sui lieviti. Ce lo aveva fatto scoprire un paio d’anni fa Luca Ferraro di Bele Casel, ora lo fanno un po’ tutti, trovandogli anche nomi fantasiosi come per il Crudoo dell’azienda pavese Giorgi, che lo pubblicizza come “perla d’uva”. Ultimo ma non ultimo, il rosé: sempre più cantine cercano di aggiungerlo alla loro produzione, un po’ per le solite ragioni di marketing, un po’ anche per rivalutare un prodotto oggettivamente screditato ben oltre i suoi demeriti (e diciamo la verita, chi di noi al ristorante o in enoteca ha mai ordinato un rosé?). Solo piccoli spunti, e magari pure erronei, visto che la sterminata galassia dell’enologia italiana non si può certo interpretare con un passaggio in volata attraverso i 92.000 mq della fiera di Verona. Ma dopo una giornata di assaggi, incontri, profumi e chiacchierate il senso di ebbrezza finale è piacevole e non lascia strascichi, e in fondo questo è quello che conta.

A seguire, i soliti pareri umorali e dilettanteschi sui vini degustati nel corso della manifestazione.

Emidio Pepe - Torano Nuovo (TE): Più che un'azienda, un'istituzione abruzzese. La famiglia si occupa di vino dal 1899, la cantina esiste dal 1964 e da allora non ha cambiato né etichetta né metodi di vinificazione, tanto che ancora oggi è in grado di offrire una degustazione "verticale" di Montepulciano d'Abruzzo senza saltare neppure un anno! Eccezionali alcune delle ultime annate, come il 2003 e il 2005. Da non trascurare poi la produzione di Trebbiano.

Cantina Sociale della Vernaccia - Oristano: Nata nel 1953 per dare continuità a una grande tradizione locale, questa cantina oggi intitola i suoi prodotti ai nomi che hanno fatto la storia della Sardegna: ecco quindi la Vernaccia Juighissa (che prende nome da Eleonora d'Arborea), l'eccellente riserva Judikes e il Vermentino Ugone III. Ma non è finita qui: ci sono anche Vermentino, Cannonau e Monica di Sardegna, e la vera sopresa è il Nieddera, vino che meriterebbe una riscoperta: il Montiprama, affinato in barrique per 10 mesi, è davvero strepitoso.

Letrari - Rovereto (TN): Spumanti, bianchi e rossi: c'è un po' di tutto nella produzione di questa azienda fondata nel 1976 e molto attiva sul piano tecnologico. Da assaggiare il Pinot Grigio, profumato e fruttato, e un Gewürztraminer molto particolare: dire che è irriconoscibile sarebbe troppo, ma di certo l'aromaticità ridotta al minimo indispensabile lo configura come un vino non aggressivo, da abbinamenti a tutto pasto.

Judeka - Ramacca (CT): Giovanissima azienda siciliana (la maggior parte dei vitigni sono in realtà a Caltagirone) che si distingue per eleganza e fantasia nella presentazione delle bottiglie. Ma i contenuti non sono da meno: interessante la coppia formata dal bianco Angelica (100% uve Insolia) e dal rosso Orlando (Nero d'Avola in purezza), ma sicuramente riscuote più consensi l'ottimo Kartor, altro Nero d'Avola invecchiato in barrique per 12 mesi.

Villa Corniole - Verla di Giovo (TN): L'azienda della famiglia Pellegrini sta facendo il pieno, raccogliendo ovunque premi e riconoscimenti ben meritati. Celebrati soprattutto il suo morbido e delicato Müller Thurgau e l'elegante Chardonnay Lukin, un bianco strutturato ma al tempo stesso fresco e vivace. Da non sottovalutare comunque i rossi, in particolare il Teroldego 7 Pegole e l'interessante IGT Cimbro Rosso.

Terre degli Svevi - Venosa (PZ): Se non l'unica, è certamente una delle pochissime aziende a proporre un Aglianico rosé: il tutt'altro che banale Re Manfredi. Per chi ama la tradizione, invece, il prodotto più interessante è certamente il Serpara, Aglianico in purezza di grande acidità e personalità.

Cusumano - Partinico (PA): Non ha bisogno di presentazioni questa premiatissima cantina siciliana. Il già noto Syrah in purezza è assolutamente da provare, ma il vino più ricercato e interessante è senz'altro il Noà, un blend di Nero d'Avola, Merlot e Cabernet Sauvignon affinato per 12 mesi in rovere.

Corbucci - Gambassi Terme (FI): Cantina giovane e molto ambiziosa che ha certamente ottime carte da giocare sul mercato. Prodotti di punta sono il Cabernet Sauvignon Corba Nero e il Sangiovese 17Ré, entrambi con 36 mesi di barrique alle spalle che li rendono corposi e imponenti; il più riuscito è però forse il 9 Code, Sangiovese con un 10% di Canaiolo, meno aristocratico dei "cugini" ma più armonico ed equilibrato.

Zonin - Gambellara (VI) e Cristiana Meggiolaro - Roncà (VR): Accomuniamo la più grande cantina privata italiana e una delle più piccole per raccontare il nostro viaggio alla scoperta dei vini Gambellara: dallo splendido Il Giangio si può partire per imparare a conoscere un bianco assolutamente trascurato, mentre il punto di arrivo è il Recioto di Gambellara Maestà, dolcissimo e profumato.

Rasciatano - Barletta: Sobria e poco appariscente, questa cantina pugliese ha due prodotti di punta: il Rasciatano Rosso, denso e profumato (80% Nero di Troia), e l'eccezionale Nero di Troia in purezza, affinato per un anno in barrique e altri 9 mesi in bottiglia: al suo esordio, nel 2007, si è conquistato subito i Tre Bicchieri della guida "Vini d'Italia" del Gambero Rosso.

Les Crêtes - Aymavilles (AO): Una delle più importanti e apprezzate cantine valdostane, con una produzione ricchissima: spumanti, bianchi, rossi, moscati. Noi ne abbiamo assaggiato uno locale, il più che discreto Fumin, e uno importat, il possente Syrah Côteau La Tour; ma c'è anche lo storico e peculiare Vin de la Sabla, un blend unico nel suo genere, che meriterebbe un assaggio.

Luigi Pieri - Ancona: L'uva Montepulciano è la grande ricchezza di questo territorio, e dunque ecco comparire il Rosso Conero Anco Marzio e il Conero Riserva: vini intensi, aromatici e di importante acidità. Ma chi si aspettasse la sola tradizione è destinato a rimanere deluso: ecco spuntare un inaspettato Merlot di dolcezza inusitata.

Cantina del Glicine - Neive (CN): Tutta la tradizione delle Langhe con qualche interessante variazione sul tema. Il Barbera, in omaggio a un'antica abitudine, è vinificato con l'aggiunta del 10-15% di uve Barbaresco: ne risulta un vino più morbido e profumato, sia nella versione vinificata in acciaio (La Sconsolata) sia in quella affinata in barrique (La Dormiosa). Diverse versioni anche per il Barbaresco vero e proprio: il Vignesparse, il Marcorino e l'eccellente Currà.

Giorgi - Canneto Pavese (PV): La ricordiamo solo per la già citata invenzione del Crudoo, un blend di Pinot Nero e Chardonnay rifermentato per 12 mesi sui lieviti e non filtrato. Il risultato, al di là delle furbe scelte grafiche e di packaging, è fresco e interessante, molto fruttato, ma non memorabile. Definire il vino "naturalmente salutare", comunque, ci sembra eccessivo.

Corte Rugolin - Marano di Valpolicella (VR): Se ne è già parlato fin troppo su questi schermi, ma dobbiamo citarla ancora una volta per lo staordinario Amarone Monte Danieli, che per quanto "addolcito" è sempre un vino di corpo e potenza inauditi, e per il fratello minore Crosara de le Strìe, decisamente più cattivo e pungente.

Cascina I Carpini - Pozzol Groppo (AL): Altra vecchia conoscenza che non manca mai di regalarci delle sorprese: questa volta Paolo Ghislandi, oltre al già noto Colli Tortonesi Bianco Rugiada del Mattino e al Timorasso Brezza d'Estate, ci propone una paradisiaca grappa di Timorasso. Troverà il modo di far arrabbiare i puristi, come con le bollicine...

Lucrezio R. - Berchidda (SS): Chi è stato almeno una volta nel cuore della Sardegna settentrionale non può non conoscere lo spettacolare mirto rosso di questa distilleria di Berchidda (R. sta per Rau, ma non è la stessa!). Ora l'azienda si è lanciata su liquori per il mercato giovane come il Better Than Sex, ma gli appassionati non si possono negare un assaggio dell'eccezionale grappa "composta" insieme al concittadino e grande musicista Paolo Fresu.

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