Stampa

Foto dalla Val Brembana

Le Locuste si spingono in alta montagna con un'escursione sul Monte Cancervo, nel cuore della Val Brembana (30 giugno 2007)! Ecco il reportage fotografico


La partenza è già lontana


L'impervio Canalino dei Sassi


Cime tempestose


Uno dei rari momenti di relax durante l'ascesa


Ancora uno scorcio dei torrioni del Cancervo


Finalmente si arriva a un pianoro erboso


La baita a ridosso della vetta


Alpinisti dilettanti


Il meritato riposo dei guerrieri
Stampa

Erlangen Aufwiedersehen

Un rito che si ripete da secoli, tra boccali di birra, cori in tedesco, bretzel e salsicce a go go. Non è l’Oktoberfest di Monaco, ma il primaverile Bergkirchweih di Erlangen, la seconda più importante fiera della birra in Baviera.
E visto che il confronto è inevitabile, sbrighiamocelo subito: a Erlangen, a pochi chilometri da Norimberga, si trova tutto quello che a Monaco non c’è, e viceversa. Mancano i costumi tipici, il folclore, i tendoni e i balli di gruppo, mancano le valanghe di turisti italiani e stranieri; l’atmosfera è assai più rustica e familiare, chiassosa ma anche misurata, insomma genuinamente tedesca. Per avere un’idea un po’ più precisa del “Berg” (Der Berg ruft, “la montagna chiama”, è lo slogan della festa) ci si può immaginare uno dei nostri luna park, naturalmente ingrandito, trasferito in una posizione incantevole a ridosso di una verde collina e dotato dell’indispensabile complemento di fiumi di birra locale.

Il sentiero della festa si snoda sulle pendici del piccolo monte, all’interno del quale sono scavate le caratteristiche “cantine” (kellerei) che anticamente erano utilizzate come dispense e ora ospitano i banconi della birra, conservata al freddo naturale delle grotte. Intorno c’è un po’ di tutto: giostre, orchestrine, tavolate festanti e un’enorme ruota panoramica. Tutto questo nella cornice di una ricca e popolosa cittadina caratterizzata da un’imponente zona industriale (a Erlangen c’è la sede centrale della Siemens) ma anche dalla presenza dell’università, che attira alla festa centinaia di giovani studenti particolarmente assetati.
Gli amanti della birra non rimangono delusi, anche se va chiarito subito che non c’è posto per gli assaggi. Anche qui, come tradizione, la dose minima è di un litro (eine maß) e di litri ne scorrono parecchi nelle lunghe giornate della festa, che continua a sfornare boccali dalla mattina alla sera: la chiusura ufficiale è alle 22, ma in realtà spesso i gestori spostano il limite molto più avanti. L’aspetto affascinante è che gran parte delle birre sono autoctone e difficili da trovare altrove: vanno segnalate soprattutto le ottime cantine Steinbach e Kitzmann, accompagnate da Hübner, Henninger e dalla più internazionale Mönschof. A differenza dell’Oktoberfest, qua si può bere ovunque e anche senza posto a sedere – che peraltro si trova facilmente: il boccale è fornito dietro pagamento di una cauzione di 5 euro e si può restituire a fine bevuta, a patto di riuscire a mantenerlo intero!

Sul piano gastronomico le possibilità non mancano di certo: sui banconi posti lungo il percorso è possibile trovare praticamente di tutto. Maxi e mini bretzel, salsicce di Norimberga, würstel bolliti o alla brace, panini con schnitzel (cotoletta), stinchi di maiale, polli, pesci arrosto e persino il toro allo spiedo, peraltro una delle poche delusioni della festa nonostante l’indubbio appeal estetico. E poi ancora fette di emmental al pepe, banane ricoperte di cioccolato, frutta secca glassata e i classici “cuori” allo zenzero da portare a casa come souvenir...
Da segnalare infine che le serate continuano e sono piuttosto animate, soprattutto nel weekend, per le vie del paese e nella discoteca per la quale è previsto un servizio di bus gratuito (un’altra navetta porta invece alla stazione, dove è consigliabile parcheggiare l’automobile).
Chiudiamo con alcune informazioni pratiche. La festa si svolge generalmente a cavallo tra maggio e giugno; quest’anno è iniziata il 24 maggio per concludersi il 4 giugno. Il massimo afflusso si ha ovviamente nei fine settimana, ma la situazione è comunque gestibile e non è necessario – anche se consigliabile - prenotare i tavoli in anticipo. Per il pernottamento le soluzioni sono svariate ma non troppo economiche: noi ci siamo affidati al solito, spartano Etap Hotel. Anche la festa di per sé può rivelarsi piuttosto dispendiosa, considerando il costo di 7 euro per ogni litro di birra consumato... D’obbligo una visita al centro cittadino e, soprattutto, alla vicina e bellissima Norimberga.

Sito "ufficioso"



Il gruppo di intrepidi viaggiatori


Il bretzel è un compagno insostituibile


C'è chi si dedica ad attività collaterali


Un'abbondante colazione per iniziare bene la giornata


Simpatici addetti spiegano il meccanismo


...e finalmente si può brindare


Un'intera "batteria" di polli


Il toro allo spiedo, o quello che ne rimane


L'ingresso di una delle migliori cantine

La grande ruota panoramica del Berg


E la sera si balla!

Stampa

Osterie d'Italia 2007

Torniamo dopo un "anno sabbatico" a recensire uno degli immarcescibili pilastri delle guide gastronomiche, ma non si equivochi: anche nei dodici mesi di assenza dalle pagine del nostro sito la Bibbia della Slow Food ha continuato a ispirare le nostre escursioni. Le critiche che man mano vanno emergendo, nel coro degli elogi alla più attesa e venduta opera dell'associazione piemontese, non fanno che confermare una verità indiscutibile: Osterie d'Italia è ormai un classico, amato oppure odiato, ma comunque letto da tutti quanti si occupano di ristorazione in Italia, compresi coloro che non rientrano nella tipologia di locale recensita dalla guida.
Notiamo subito due novità rispetto all'ultima edizione da noi trattata (Osterie d'Italia 2005), una positiva e una negativa. La buona notizia è che l'aumento del numero di pagine (sono 910, grazie anche alla presenza del Dizionario della Cucina regionale) non corrisponde a un mutamento del prezzo, da anni ormai fissato a 20,14 €. La notizia meno buona è la scomparsa dei parametri - soprattutto il prezzo - adottati per la scelta dei locali da inserire: almeno a prima vista, infatti, non è indicato nessun limite massimo per quanto riguarda i costi per il cliente, e in generale non sono (più) specificati i criteri della definizione di Osteria. Questo non significa naturalmente che i locali recensiti vìolino i principi già fissati dalla storia della guida, né tantomeno che siano particolarmente costosi (raramente si va oltre i 35 euro): tuttavia è innegabile che l'indeterminatezza lasci spazio a qualche dubbio.

Una delle critiche rivolte più frequentemente alla guida è la presenza di un numero troppo elevato di recensioni o, detto in altre parole, la scarsa selettività. Un'obiezione soltanto in parte condivisibile, visto che il livello medio delle Osterie d'Italia si è sempre mantenuto alto negli anni. E' vero che i curatori si sono sempre rifiutati di differenziare tra loro i locali in base a qualsiasi tipo di classificazione: scelta opinabile ma da apprezzare per coerenza. Ad ogni buon conto, e forse proprio per prevenire l'"indigestione", negli ultimi anni il numero di Osterie segnalate è rimasto sostanzialmente invariato (sono 1656).
Altra pecca, o presunta tale, della guida è il suo tenace attaccamento alla cultura gastronomica e ai prodotti locali: una strenua difesa che potrebbe anche avere come effetto collaterale la stanca ripetizione della "solita" cucina, senza più margini né possibilità di rinnovamento. La curatrice Paola Gho ha ben presente questo rischio, al quale dedica gran parte della sua introduzione, ma tuttavia non ha intenzione di cambiare strada: "Tra i due corni estremi - creatività spinta, de-strutturazione del piatto (...) da una parte, e sclerotizzazione del menu di tradizione ridotto a una quaterna di piatti tipici dall'altra - esiste una zona intermedia, per ora grigia e alquanto buia, che può diventare luminosa, interessante per chi mangia e gratificante per chi cucina. A patto che si scavi, si aggiunga, si dia fondo alle possibilità che i ricettari regionali offrono".
Chiudiamo con qualche curiosità: tra le tante nuove entrate c'è anche un ristorante recentemente visitato dalle Locuste, la Nuova Osteria Tripoli di San Giorgio di Mantova. Molte le novità nella zona di nostra competenza: l'Osteria del Gatto Rosso a Brissago Valtravaglia (VA), la Trattoria dei Cacciatori a Basiglio (MI), il Ristorante Santo Stefano a Lenno (CO) e due locali di Milano, La Pesa e L'Altra Pharmacia. Ma ad attirarci è soprattutto l'Agriturismo Il Camoscio di Monteviasco (VA), a due passi - per modo di dire visto che ci si arriva solo a piedi dopo un'ora di cammino - dal già noto Il Tasso. Notiamo invece con dispiacere la "bocciatura" dell'Antica Osteria La Guercia di Pesaro.
Stampa

Turisti per cibo

Alzi la mano chi non ha mai invidiato il lavoro di Patrizio Roversi e Syusy Blady: viaggiatori instancabili, scopritori di luoghi incantati, narratori eccezionali di usanze, costumi e culture, e per di più inventori di un marchio vincente al punto da poter essere declinato senza perdere smalto in tutte le sue varianti editoriali, televisive, internettiane.
Dopo essersi cimentata con le spiagge delle Maldive e con gioie e dolori della barca a vela, la coppia di esploratori amatoriali si è dedicata dunque al mondo della cucina: prima con Golosi per caso, ora con questo nuovo Turisti per cibo, sempre edito da Il Sole 24Ore (440 pagine, 15,90 euro). Anche questa volta, per dirla tutta, il grosso del lavoro non è di Patrizio e Syusy ma di Martino Ragusa, inseparabile amico dei due e presentato fin dall'introduzione come il "Super-io" del gruppo, ovvero il gastronomo di professione che studia e approfondisce razionalmente i sapori e le suggestioni scovate dalla curiosità degli altri due viaggiatori.
Nonostante la scrittura a sei mani, comunque, il concetto di fondo non muta: Turisti per cibo è la cronaca di un viaggio attraverso le regioni d'Italia (e del mondo) alla scoperta di prodotti tipici, locali caratteristici, storie da raccontare.

Lo spirito del volume è efficacemente sintetizzato dalla frase in quarta di copertina: "assaggiando si impara, perché è in cucina, a tavola, al mercato che si conosce intimamente l'identità di un paese, la sua cultura, le sue tradizioni e, perché no, anche la sua economia". Così Patrizio e Susy, che si dedicano a viaggiare per il mondo, raccolgono e scambiano impressioni con Martino, impegnato invece a scandagliare l'Italia. Le pagine del libro sono il risultato di questa "corrispondenza" che gli autori si indirizzano l'un l'altro. Per ogni regione del nostro paese Ragusa redige una serie di articoli, partendo da un singolo stimolo (un agriturismo visitato, un prodotto assaggiato) per ricostruire tutta la gastronomia della zona. Anche nei paragrafi più curiosi ("Sarà poi vero che i liguri sono sparagnini?") si può star certi che non mancheranno riferimenti alle specialità della zona, in parte coincidenti con i presidi Slow Food, alle botteghe dove acquistarli e ai punti di ristoro più interessanti. Dal canto loro, Roversi e Blady rispondono con analisi assai più a ruota libera su tradizioni e manicaretti di ogni angolo del mondo.
Il libro - di cui citiamo anche il sottotitolo: "il grand tour del buon mangiare" - scorre via con tale leggerezza che si fatica a trovargli qualche pecca. Unico neo è forse la non eccessiva originalità dei temi trattati: molti dei cibi e dei racconti presentati sono in fondo già da anni patrimonio della letteratura di settore. Ma le ripetizioni sono ampiamente compensate dallo stile piacevole e dall'approccio scanzonato degli autori.
Stampa

Pane, fame e salame...

"Bisogna avere l'appetito del povero per godere appieno la ricchezza del ricco".

Questa splendida citazione di A.de Rivarol è una delle tante perle di saggezza di questo libro deliziosamente "fuori tempo" che Teresio Bianchessi ha pubblicato per l'editore Giunti nel 2006. Definire questo volume è impresa assai ardua: forse un manuale, forse un ricettario, forse una malinconica riflessione su un mondo contadino che sta ormai scomparendo o forse ancora una caustica apologia della miseria... certo, anche la personalità assai complessa e sfaccettata del suo autore, di cui si può avere un saggio sul suo sito personale, non aiuta a scegliere l'approccio giusto.
Con Pane, fame e salame (160 pagine, 5,90 euro), insomma, è difficile discernere l'ironia dal sentimento, i ricordi d'infanzia dalla celebrazione della genuinità. Quello che è certo è che il libro affascina e appassiona grazie alla sua filosofia semplice e accattivante ("La fame, più che l'appetito, era l'ingrediente fondamentale della cosiddetta cucina povera"), ma anche al suo stile di racconto al tempo stesso minimalista e commovente, un po' deamicisiano, se il paragone è lecito.

Il ricettario è strutturato in capitoli, uno per ogni pasto (colazione, pranzo, merenda e cena) più due "speciali" dedicati al pane e al maiale. In ogni sezione trovano posto diverse ricette, rigorosamente "povere" e legate alla tradizione rurale, ciascuna delle quali è associata a un breve episodio nella vita di una famiglia contadina. In alcuni casi ci troviamo di fronte a vere e proprie pietanze (interiora di pollo, risotto con i fagioli), ma più spesso le ricette rivelano fin dal titolo la loro essenzialità: ne sono esempi il pane, burro e zucchero, la granita di neve, o addirittura gli avanzi. "Specialità" di certo poco gradite ai gastronomi ma che bastano - o bastavano - a far felice chi deve, e sa, accontentarsi di poco. Come i bambini, principali protagonisti dell'epopea.
Il fascino di questa piccola, ma significativa opera è proprio nella sua capacità di celebrare il momento di sincera commozione e felicità che accompagna, da sempre, il rito del mangiare, anche nelle situazioni più difficili ed economicamente disagiate; e anche se i ricordi dell'autore sono strettamente legati a un luogo e a un momento ben definiti, siamo certi che pochi lettori rimarranno indifferenti di fronte alle suggestioni d'infanzia che queste pagine sanno ricreare.

Ricerca rapida

Regione
Provincia

Login Form

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Credits - Nota legale