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Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso 2007

Ancora un'altra guida del Gambero Rosso!
Ecco sintetizzato, in poche parole, il maggior pregio e il maggior difetto di una vera e propria istituzione delle guide gastronomiche italiane: l'essere sempre uguale a se stessa. L'approccio del lettore occasionale è inevitabilmente quello di chi si chiede perplesso cosa mai potrà esserci di nuovo in un manuale basato su una formula così rigida da apparire immutabile, e d'altronde proprio per questo vincente sia in libreria, sia sul piano delle enormi aspettative generate.
Ma i pregiudizi, per quest'anno, sembrano destinati a rimanere nel cassetto. Fin dall'introduzione infatti la guida Ristoranti d'Italia, 574 pagine per 20 euro di prezzo (non poco), annuncia grandi novità: la frase d'apertura ("Il mondo cambia, le guide pure") parla chiaro. La prima novità è nella decisione di estendere notevolmente il panorama dei ristoranti recensiti, che aumentano del 20%: un incremento rilevante per una guida che ha sempre fatto dell'elitarietà il suo marchio di fabbrica. Altra piacevole innovazione è l'introduzione di uno speciale boccale con la schiuma: trattasi del riconoscimento, attribuito in collaborazione con Assobirra, ai locali che dimostrano maggiore attenzione nei confronti della birra e del suo abbinamento con la cucina (per la cronaca sono circa il 10% del totale).

A prescindere dalla facciata, comunque, la struttura della guida rimane sostanzialmente inalterata: di agevole consultazione grazie alla pratica suddivisione per regioni e per località, nonchè alla comoda mappa finale, il volume propone una classificazione complessa e dettagliata che valuta un elevato numero di parametri per ogni locale. In sostanza ogni ristorante ha un punteggio espresso in centesimi, che risulta dalla somma di più criteri: il 60% dei punti è determinato dalla cucina, il 20% dalla cantina, il 10% dal servizio e il 10% dall'ambiente. I locali che superano il punteggio complessivo di 70 vengono insigniti di una forchetta, che raddoppia per chi va oltre gli 80 e triplica per le votazioni da 90 a 100. Inoltre per ogni locale è segnalato il rapporto qualità-prezzo, che può essere svantaggioso, corretto, vantaggioso o guadagnarsi addirittura l'Oscar.
La classifica finale non riserva a dire il vero grandi sorprese: al primo posto assoluto con 96 punti si piazzano a pari merito due mostri sacri della ristorazione italiana, Gianfranco Vissani e Fulvio Pierangelini (per l'appunto lo chef del Gambero Rosso di San Vincenzo). Seguono altri nomi notissimi come La Pergola del Cavalieri Hilton di Roma (chef Heinz Beck) e il ristorante Dal Pescatore di Canneto sull'Oglio, poi ancora il Cracco-Peck di Milano e l'Enoteca Pinchiorri di Firenze. Gualtiero Marchesi è un po' più indietro ma si guadagna comunque le tre forchette.

A conclusione di questa rapida carrellata non si può che confermare il giudizio iniziale: la guida resta un must per chi vuole conoscere il meglio dei locali "istituzionali", da anni riconosciuti come capisaldi della cucina italiana, un po' meno invece per chi ama sperimentare e scoprire le novità. Anche dal punto di vista dei costi il target rimane piuttosto alto, anche se si nota uno sforzo per inserire anche locali più attenti al rapporto qualità-prezzo. I criteri di attribuzione del punteggio assai complessi forse penalizzano un po' la leggibilità, ma d'altronde consentono di analizzare in modo completo ed esaustivo ogni singolo locale. In poche parole: per chi ama andare sul sicuro, un'indiscutibile certezza.
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L'ATMosfera giusta

Mancano pochi minuti alle otto di sera. Dietro piazza Cordusio a Milano, davanti al capolinea del 19, alcune persone attendono sotto un portico. Pochi minuti e una vettura verde scuro fa capolino. Ha la stessa fisionomia dei vecchi tram ma è pregevolmente rifinita e con interni lussuosi che richiamano i fasti del primo novecento. ATMosfera, questo è il nome, è un ristorante sui binari.

Alle otto in punto, le quindici persone – il numero massimo di commensali possibili – sono già salite e si stanno accomodando sui pittoreschi divanetti della carrozza. I tavoli, disposti su due file, sono apparecchiati alla perfezione e guardando la città dal finestrino sembra di trovarsi in un altro mondo, ovattato e chic. Le tendine color panna e dai panneggi morbidi fanno dell’ambiente un locale accogliente e intimo.
I menù sono però la prima cosa a destare l’interesse di tutti; a seconda dei gusti è possibile prenotarne uno di carne e uno di pesce.

Si parte. Il conducente muove ATMosfera lentamente per i lunghi viali di Milano e, incrociando gli altri tram, non di rado capita di essere salutati. Ci sentiamo un po’ delle star anche se il protagonista indiscusso è lo chef.

I menu sono interamente consultabili all’indirizzo http://www.atm-mi.it/ATM/foto_atmosfera.htm. Per non svelare tutto ai nostri lettori mi soffermerò in particolare su un primo, le crespelle di ricotta, spinaci novelli e gratin di pistacchi e su un secondo, lo stinco di vitello scomposto con patate saltate.
Le crespelle sono molto delicate e l’accostamento coi pistacchi azzeccato e ben equilibrato. Non ci troviamo in un ristorante del centro ma la sensazione è quella e tutto viene enfatizzato dal Castello Sforzesco che ti passa davanti, dall’Arco della Pace che ti appare mentre stai assaggiando il primo boccone. Lo stinco, per la cronaca, è ricoperto da una salsa avvolgente e vellutata. La carne, ben cotta, è morbida al palato e si sposa senza dubbio con il Barbera dell’Oltrepò Pavese proposto.
Anche i dolci sono curatissimi ma non voglio rovinarvi la sorpresa di una serata da trascorrere obbligatoriamente con qualcuno al quale o alla quale, dopo un invito così, non potrete di certo più resistere..

I prezzo, al di là di ogni aspettativa è di 50 euro a testa: mettiamoci Milano, mettiamoci la cucina ad alto livello, l’ambiente a 5 stelle, il servizio impeccabile. Mettiamoci che sembra un piccolo Orient Express. Vale un dieci per l’onestà. Unica pecca la lista di attesa che ora si aggira oltre i due mesi. Ma se non avete fretta prenotate, ne vale davvero la pena.

Lorenzo Filippi
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Guide Oro Veronelli 2007

Una presentazione di classe per tre guide all’insegna della raffinatezza: non poteva essere altrimenti parlando della casa editrice del celebre “Gino” Veronelli, scomparso due anni orsono ma ancora ben vivo nel ricordo di collaboratori e lettori. Lunedì 6 novembre al Convento Sant’Angelo di Milano erano oltre 200 i presenti, tra giornalisti e operatori del settore, per assistere all’articolata conferenza che ha introdotto le tre consuete pubblicazioni annuali della casa bergamasca: i Vini, i Ristoranti e gli Alberghi. Al termine, eccellente rinfresco con la degustazione di 50 bottiglie estratte dall’immensa cantina della famiglia Veronelli (degustazione, per la verità, più che altro simbolica: molti dei vini, imbottigliati negli anni Settanta, avevano ormai superato i limiti della bevibilità).

Dal punto di vista strettamente editoriale, interessanti erano e restano tutte e tre le guide.
Specialistica ed elefantiaca (più di 1000 pagine!) quella dei Vini, curata impeccabilmente da Gigi Brozzoni e Daniel Thomases; al suo interno oltre 15.000 varietà di vini commentati, provenienti da tutta Italia e dal Canton Ticino. Quasi 900 i vini al di sopra dei 90/100 di valutazione; 22 quelli premiati con “Il Sole”, riconoscimento riservato alle bottiglie che più hanno colpito o emozionato i curatori. Fra questi anche qualche sorpresa, come il Barbera dell’Oltrepò prodotto da Letizia e Gianmarco Moratti nel loro castello di Cigognola (Pavia). Il prezzo al pubblico è di 29 euro (da notare che parte dei proventi, come per le altre guide, vanno alla fondazione CESVI per il progetto “Fermiamo l’AIDS sul nascere”).

La guida che ci riguarda più da vicino, quella dei Ristoranti, è invece curata dal direttore generale della casa editrice, Gian Arturo Rota. Anche in questo caso imponente il numero delle recensioni, oltre 2000, spesso impreziosite da vecchi scritti di Veronelli in persona. Il criterio di valutazione è in centesimi, applicato però solo dai 70 ai 90; ai ristoranti con voto superiore vengono assegnate le stelle, da una a tre (tra i ristoranti recensiti dal nostro sito, due stelle sono stati attribuiti al D'O di Cornaredo e ai Cinque Campanili di Busto Arsizio).
Il target è, a sorpresa (per i nuovi lettori), molto ampio, anche se tendente al medio-alto: per intenderci ci sono ristoranti da 120 euro a menu e celebrità come Gualtiero Marchesi o Aimo e Nadia, ma anche agriturismi e trattorie economiche. Interessante anche la scelta di recensire i locali delle zone di confine, dal Tirolo al Canton Ticino passando per l’Istria. Il prezzo della guida è di 22 euro, le pagine quasi 700.

Infine la guida degli Alberghi, più ridotta rispetto alle prime due e sicuramente destinata a un pubblico con maggiori pretese e disponibilità economiche, anche se con qualche eccezione. Più che le recensioni in sé sono notevoli le indicazioni turistiche ed enogastronomiche affiancate alla descrizione della singola struttura, che permettono di organizzare con precisione un tour della zona prescelta. 600 pagine per un prezzo di 18,50 euro.

In chiusura segnaliamo la novità assoluta di questa edizione delle Guide: la casa editrice ha firmato un accordo con la Macrom per la realizzazione di un software di navigazione da scaricare sui telefonini cellulari. Questo software renderà possibile la consultazione via telefono di tutte le guide Veronelli, spaziando nell’immenso database di locali scelti in base a numerose opzioni di ricerca. Caratteristica importante: i dati e le mappe non vengono scaricati sul cellulare ma recuperati di volta in volta da un server esterno, garantendo quindi un minor “peso” dell’applicazione.
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Saggi e assaggi

137mila visitatori in quattro giorni, e io (Navigatore Capo) c'ero!
Lo dico con un certo orgoglio, giustificato non tanto dalla mia semplice presenza al Lingotto di Torino, quanto dal fatto di essere sopravvissuto a un'intera giornata di assaggi e degustazioni (dalle 12.30 alle 20, più o meno) senza lasciarci la pelle e neppure il portafogli. Si potrebbero enumerare qui le incredibili specialità culinarie assaggiate senza soluzione di continuità, dalla mortadella di Prato alla mostarda di sedano, dalla confettura di arance e pompelmi al liquore di gianduia... ma la lista richiederebbe una settimana (come del resto avrebbe richiesto anche la visita).
Mi limito quindi a lasciare la parola a me stesso: qui sotto trovate il testo completo del mio articolo apparso su Lombardia Oggi con la recensione dell'evento.
In due parole questo il giudizio: una manifestazione superlativa. Pregi: l'incredibile varietà di prodotti, l'esposizione curata, la cortesia degli espositori. Difetti: le troppe degustazioni a pagamento e l'eccessivo miscuglio di sapori, che alla fine rischia di far perdere il senso del gusto (non si dica mai!).

SAPORI BUONI, PULITI E GIUSTI

"La nostra non è una visione arcaica, è una visione di estrema modernità. La dignità dell’economia locale è l’unica che ci consentirà di realizzare quello che sta diventando un ossimoro: sviluppo sostenibile".
Parole forti, fortissime quelle di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, all’inaugurazione di Terra Madre, l’incontro mondiale delle comunità del cibo. Parole che danno un senso e una chiave di interpretazione a tutto l’immenso spettacolo del Salone del Gusto, manifestazione separata da Terra Madre, eppure inscindibile. Perché gli oltre 5000 delegati, provenienti da 150 paesi del mondo, che hanno affollato giovedì 26 ottobre la sala Oval al Lingotto di Torino, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sono simbolicamente fratelli dei coltivatori, degli allevatori, dei pasticcieri e degli artigiani che contemporaneamente animavano centinaia di stand gastronomici nei tre padiglioni della fiera.
Tra i corridoi del Salone del Gusto, dalla via dei Formaggi e Latticini fino a quella dei Dolci e degli Spiriti, il concetto di cibo “buono, pulito e giusto” si è materializzato davanti agli occhi dei visitatori (oltre 137.000, un record), incarnandosi in decine di prodotti unici al mondo, che è possibile gustare ancora oggi solo grazie alla passione e all’impegno di piccole e piccolissime aziende del settore. A sostenere, a loro modo, i valori dell’economia rurale tradizionale e della “globalizzazione intelligente” si sono presentati tutti: dai gelatai siciliani agli allevatori di polli olandesi, dai formaggiai del Lazio ai produttori di Canapu, una particolare varietà di fagiolo coltivato soltanto nel Nordest del Brasile.
Ognuno di questi artigiani ha un assaggio da proporre (spesso gratuito, anche se proliferano le degustazioni a pagamento, pur deplorate dagli organizzatori) e soprattutto una storia da raccontare: storie millenarie di tradizioni tramandate di generazione in generazione, ma anche piccoli episodi quotidiani che mettono in luce il rapporto, talvolta conflittuale, tra il moderno e l’antico. Così il mastro birraio di Casalpusterlengo lamenta il gusto standardizzato delle grandi marche di birra, mentre il salumiere del gruppo Alcisa di Bologna racconta come ancora oggi gli operai dello stabilimento facciano colazione ogni mattina con una fetta di mortadella, e con un pizzico di civetteria liquida chi la ritiene un cibo “povero”, ricordandone gli ingredienti selezionati (e costosi).
Ma il Salone del Gusto non è una manifestazione per snob della gastronomia: i profumi che rimbalzano da uno stand all’altro sono semplici e genuini, come i titolari degli stand. Gente che si guadagna da vivere continuando a produrre alimenti introvabili altrove: la marocca di Casola (pane toscano con farina di castagne), il Saras del fèn (ricotta avvolta e conservata nel fieno), il genepi piemontese, le melanzane rosse del Pollino, gli impronunciabili “cuddrireddri” siciliani.
Quasi assenti, ed è una grave mancanza, i prodotti lombardi: su oltre 200 Presìdi Slow Food, soltanto sei provengono dalla nostra regione, tra cui il celebre violino di capra della Valchiavenna. Nessuna menzione per la provincia di Varese, e poche anche le aziende della zona che portano la loro esperienza al Lingotto: un’occasione sprecata, se si pensa a quanto il territorio ha da offrire in termini di tradizione agricola e culinaria.
Per fortuna le alternative che si incontrano per i corridoi sono tante e gustose, e spaziano dai dolci tipici del cremasco, con accompagnamento di vini locali, agli assaggi di Mezcal messicano. Si scoprono così inaspettate convergenze di sapori, come quella tra il Chinotto, rarissimo agrume del savonese, e la Pompìa, frutto che cresce soltanto a Siniscola, in provincia di Nuoro. E si arriva alla conclusione che anche lavorando sulla qualità si può guadagnare, come insegna la storia del Bitto, il tipico formaggio valtellinese: grazie alla sua insistenza sulla mungitura a mano e sull’uso di sistemi tradizionali per la lavorazione, l’associazione dei produttori si è aggiudicata la ricca sponsorizzazione dei “fondamentalisti” della Coop Switzerland. Gli altri, come ricorda non senza ironia uno dei produttori presenti al Salone, sono rimasti a bocca asciutta.

(Articolo di Eugenio Peralta pubblicato su Lombardia Oggi del 5 novembre 2006)
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Gustosando in Valtellina

"Morbegno in cantina" rappresenta, da qualche anno, un appuntamento imperdibile per tutti gli estimatori del buon vino e delle cantine più caratteristiche di tutta la Valtellina. Pochi però si sono avventurati un po' più in alto, nella famosa Costiera dei Cech, per approfittare della ghiotta opzione "Gustosando".
Noi ci siamo andati durante il primo fine settimana utile, vale a dire quello del 29 settembre 2006, nel quale era previsto l’itinerario tra Dazio e Civo.

Gustosando permette di alternare all’assaggio di ottimi vini l’abbinamento di piatti tipici valtellinesi che si fondono perfettamente con l’atmosfera conviviale e avvolgente delle volte a botte delle cantine. Tra i piatti più azzeccati segnaliamo le lasagnette di grano saraceno, il riso con le castagne e la trippa stufata alla vecchia maniera. I vini più pregevoli invece un Inferno Sertoli Salis e un Grumello del ’99, davvero indimenticabile.

Per compiere il percorso completo di Gustosando, composto da 10 cantine, abbiamo impiegato, usando la dovuta calma, quasi quattro ore.
I 28 euro spesi sono una cifra molto onesta se consideriamo l’ottima proposta dei vini, scelti tra le migliori etichette della zona, e l’abbinamento di piatti sempre diversi (tra gli altri la salsiccia cotta nel latte, i gnocchetti al grano saraceno, gli spiedini di agnello). Non ultimo il fatto che tutte le cantine avessero sempre a disposizione salami, formaggi locali, pane di segale e “bisciola” a volontà!
Un’esperienza che invito personalmente a fare il prossimo autunno poiché a parole è davvero difficile trasmettere le sensazioni che si respirano in luoghi così caratteristici.

Lorenzo Filippi

Per informazioni:
Consorzio Turistico Porte di Valtellina
Tel. 0342-601140
www.portedivaltellina.it
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