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...E sai cosa bevi

C'è una bevanda che unisce tutto il nostro paese, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia. Indovinato? Risposta sbagliata: parliamo della birra. Ebbene sì, a dispetto di tutti i pregiudizi che decantano le passioni esclusivamente enofile degli italiani e, per converso, dipingono la birra come un passatempo per rozzi vichinghi, ormai da anni la "geografia alcoolica" dello Stivale è mutata, e di parecchio. Per rendersene conto sarebbe bastato fare un giro al Salone della Birra Artigianale e di Qualità, ospitato da Fiera Milano City tra il 28 e il 31 marzo 2008. L'evento, organizzato dall'Associazione Degustatori Birra, ha riscosso come già l'anno scorso un notevole successo di pubblico, con afflusso particolarmente intenso nelle giornate di sabato e domenica; ma non è tanto questo a impressionare, quanto la moltiplicazione degli stand: in un anno i microbirrifici italiani sono "lievitati" (ci si passi il gioco di parole) fino a restituire, già al primo colpo d'occhio, la sensazione di un universo in piena espansione.
Saranno il costo sempre più abbordabile degli impianti e l'esiguo spazio necessario per la loro installazione; sarà la crescente domanda di un pubblico che non si accontenta più della sola produzione industriale; sarà l'innato desiderio di sperimentazione che porta a esplorare nuovi gusti e nuovi aromi; sta di fatto che il settore va, come si suol dire, a tutta birra.

Oltre alla quantità, sembra crescere notevolmente (sempre a uno sguardo d'insieme) anche la qualità delle produzioni artigianali. Intendiamoci: non siamo strenui difensori della raffinatezza fine a se stessa e tantomeno vogliamo prendercela, moralisticamente, con le "cattive" multinazionali. Però è un fatto evidente che, mentre fino a qualche anno fa era vero l'opposto, oggi è difficile trovare tra le grandi marche birre che possano reggere il confronto con la produzione "casereccia".
Tra le ragioni della diffusione delle birre "alternative" c'è anche il fatto che molti birrai, gratificati dal successo, hanno aperto i propri pub e locali dove smerciare i loro prodotti. Casi ormai celebri come il Birrificio Italiano di Lurago Marinone hanno fatto scuola, e negli ultimi anni sono spuntati emuli di tutto rispetto, presenti al salone con i propri stand: tra questi citiamo il Birrificio Baüscia di Milano e il pub-ristorante Novecento di Casatenovo (LC), che anche nella nuova gestione continua a proporre ottime birre artigianali accompagnate da fritture e carni alla griglia. Degno di menzione infine il Birrificio Ostiense Artigianale di Ostia lido, con ben 9 tipologie diverse della bevanda di Gambrinus.

Passando alle birre vere e proprie, da segnalare la folta rappresentanza della Lombardia, non soltanto per la vicinanza geografica: pare proprio che in questo settore la nostra regione, che purtroppo spesso si rivela tutt'altro che all'avanguardia nel campo dell'alimentazione e della gastronomia, abbia trovato nuovo slancio. Oltre ai successi ottenuti lo scorso anno dal Birrificio L'Orso Verde di Busto Arsizio, segnaliamo anche l'intera produzione del Birrificio Menaresta di Carate Brianza, nella quale spicca l'originalissima Bockstaele Dirk, ambrata scura prodotta con farina di carruba.
In ordine sparso, ecco altri assaggi che hanno colpito la nostra fantasia: la chiara Germana del barese Birrificio Svevo, che ben si accompagna alla scura doppio malto Imperium vincitrice lo scorso anno del primo premio. La delicata New Morning del Birrificio del Ducato di Roncole Verdi di Busseto. L'eccezionale Martellina, un'ambrata doppio malto all'inconfondibile gusto di miele di castagno, prodotta dal Mostodolce di Prato. La Glu Glu del simpatico SorA'LaMA' di Vaie, in provincia di Torino. L'intera produzione, ancora acerba ma interessante, del birrificio Gilac di Val della Torre (sempre Torino) e infine quella del 32 via dei Birrai di Treviso, a cui abbiamo già dedicato un'apposita recensione.
Non possiamo chiudere senza un cenno alle birre internazionali, arrivate da noi grazie a importatori come Beer Concept Italia e a rivenditori come Rocca: nella sterminata varietà di birre presenti spicca la splendida stout O'Hara, prodotta nella cittadina irlandese di Carlow. Non a caso la guida Bridgestone dice che "rappresenta la più dura critica che sia stata mossa alle birre di massa"...
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Dica Trentadue

Il primo richiamo formale mi arriva dalla teca espositiva di un bar. E' più di una semplice bottiglia, è essenziale; impossibile non esserne attratti.
Un po' di attenzione e lo stile minimale lascia trasparire la minuziosa cura del particolare: l'oste prima elimina la capsula che chiude il collo della bottiglia, poi toglie il tappo a corona, infine estrae il turacciolo.
Fantastico. Subito ripenso alle intere partite di bottiglie rovinate dalla noncuranza di mastri birrai poco accorti che, per mancanza di zelo, affidano la fragranza della loro birra a tappi scadenti e sigilli non ermetici. Il birrificio 32 Via dei Birrai è avanti anni luce!
Infatti, ecco la "32" scendere nel bicchiere mantenendo un ottimo rapporto tra il liquido e la schiuma persistente. Viene a questo punto istintivo pensare ad una corrispondenza sinestesica tra l'esperienza visiva e il sapore, ci si aspetta un gusto veramente particolare che sia in grado di regalare, pur con semplicità, una vasta gamma di sfumature. Le aspettative non sono tradite, la "32" riesce veramente a stupirci in positivo.

Beanchè molto diverse l'una dall'altra, le qualità di birra prodotte dal birrificio trevigiano 32 Via Dei Birrai riescono a distinguersi per l'originale complessità del sapore che, a mio modo di vedere, può avere una lettura a più livelli. Grazie alla sua caratteristica freschezza riesce a essere consumata con leggerezza, senza stancare ed appesantire; tuttavia, un palato più attento potrà riscontrare una vasta gamma di fragranze che valgono la particolarità e l'originalità di questo prodotto.

E' infine necessario, oltre alla già citata freschezza, accennare all'altra importante caratteristica distintiva della "32": la luppolatura. Fin dal primo assaggio si percepisce una spiccata predisposizione del mastro birraio nei confronti di una birra molto luppolata (scopriremo poi che il prodotto
utilizzato è il luppolo di Poperinge, Fiandre, Belgio).
Completano lo stile "32" i nomi assegnati alle varie tipologie di birra: Oppale, Curmi, Audace, Admiral, Atra, Nectar. Sono lemmi semplici ma che immancabilmente rimandano a qualcos'altro, quasi enigmatici, pronti a svelare i loro segreti ai palati che li sapranno cogliere.

Per maggiori informazioni vi rimandiamo al sito ufficiale www.32viadeibirrai.com.

Martina Bernareggi
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Torinese, dolce e fondente

Torino fredda, Torino chiusa, Torino brutta, noiosa e inospitale. Questa, non è un segreto, è la fama di cui “gode” il capoluogo piemontese in gran parte d’Italia. E forse (non sapremmo dirlo) a volte un velo di malinconia avvolge davvero la città sotto la Mole, a tal punto da nascondere le sue bellezze, persino una delle più amate e ricercate: il cioccolato.
Fatto sta che a visitarla nei giorni di CioccolaTÒ, la grande manifestazione annuale dedicata al “cibo degli dei”, dell’ex capitale industriale d’Italia appare una faccia del tutto opposta: affascinante, vitale, addirittura movimentata, a dispetto di un “cielo su Torino” (citazione necessaria) tutt’altro che invitante. Viene da pensare che la grande fiera di piazza Vittorio Veneto e il resto del centro cittadino si influenzino piacevolmente a vicenda, trasmettendosi una contagiosa allegria.
In effetti l’evento, se si svolgesse in qualunque altra città, non sarebbe probabilmente nulla più di una successione di bancarelle (neppure troppe) e di moderati assaggi di cioccolato: certo squisiti, certo graditissimi alla vista e all’olfatto, certo allietati da commenti musicali e iniziative collaterali, ma niente che possa indurre a spendere più di un’ora del proprio tempo tra curiosità e shopping. Invece siamo a Torino e questo fa la differenza: qui infatti hanno sede i locali che hanno fatto la storia del cioccolato in Italia, come il “mitico” Caffè Fiorio. Qui Slow Food e i suoi partner possono organizzare grandi incontri, spettacoli e cene a tema con esperti del settore e cuochi di prim’ordine. Qui, soprattutto, “giocano in casa” le grandi pasticcerie italiane, da Caffarel a Venchi passando per Peyrano.

Per questi motivi chi è stato a Torino tra il 22 febbraio e il 2 marzo 2008 ha potuto partecipare a un evento unico, nonostante le dimensioni tutto sommato ridotte della fiera in se stessa: incontri, conferenze, premi e laboratori (da non dimenticare l’affascinante “Fabbrica del Cioccolato” allestita dalla Silvio Bessone) hanno fatto da lussuoso contorno a un piatto decisamente ricco. Inutile - ma lo facciamo lo stesso - elencare tutte le specialità messe in campo da pasticcieri e cioccolatieri accorsi in massa per l’evento: tavolette, praline e scaglie di cioccolato, uova di Pasqua e cioccolata in tazza per tutti i gusti, cacao 100% e pastiglie Leone al fondente, nocciolato e gianduja, liquori (come il celeberrimo Bicerin) e cioccolatosi “chupitos”, cuneesi al rhum e cioccolato modicano, addirittura grissini di cioccolato e tavolette aromatizzate alla fragola. A fare bella mostra di sé in piazza Vittorio Veneto c’era persino il furgoncino della Classic Malts Selection, con i suoi ambitissimi abbinamenti tra whisky di marca e cioccolati pregiati…
Vi lasciamo con il caldo consiglio di fare un salto da queste parti il prossimo anno e, in aggiunta, con un elenco dei produttori che più hanno colpito la nostra fantasia e la nostra... gola.

Le Delizie di Silvio Bessone - via Gallo 19 - Vicoforte (CN) - tel. 0174-563312
Gertosio - via Lagrange 34/h - Torino - tel. 011-5621942
Monteccone - via Cesana 56 - Torino - tel. 011-4472286
Giovanni Dell'Agnese - corso Unione Sovietica 417 - Torino - tel. 011-616157
Maurizio Dell'Agnese - via Vibò 33 - Torino - tel. 011-250070
Distilleria Erboristica Alpina - località Tra Due Rivi 15/4 - Susa (TO) - tel. 0122-31909
Pasticceria del Capitano Rosso - corso Traiano 158 - Torino - tel. 011-6190638 o 011-6190638

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A tavola con Omero

Il titolo, bisogna ammetterlo, crea un po’ di confusione: "A tavola con Omero" intriga ma non dice abbastanza, per un libro che in efficacissima sintesi si occupa di tutta la cucina dell’antichità classica, dai Greci ai Romani. Quello di Lia del Corno, in effetti, è un libretto minuscolo che dimostra ancora meno delle sue 117 pagine ed è in vendita a soli 5 euro, ma nonostante le dimensioni ridotte offre un compendio stringato e mai noioso di tutto quello che sappiamo sulla cucina dei nostri antenati, cioè, purtroppo, davvero poco.
Non è certo la prima volta che scrittori e studiosi (e il cognome Del Corno dovrà pur dire qualcosa a tutti gli studenti che si sono cimentati almeno una volta con il greco...) tentano di ricostruire almeno per sommi capi la gastronomia greca e romana. La curiosità sull’argomento è inevitabile, dal momento che in tutte le opere letterarie dell’epoca giunte fino a noi, comprese quelle più auliche, i riferimenti al cibo, e alla capacità di apprezzarlo, sono innumerevoli. L’approccio dell’autrice, piuttosto leggero e scanzonato ma filologicamente irreprensibile, introduce al tema in modo non banale, cominciando dalla cornice (il rituale del banchetto, gli utensili) per arrivare alle singole portate trattate in appositi capitoli: pane, pesce, carni, salse, verdure, dolci, frutta e vini. Completano l’opera tre curiosi excursus dedicati al cibo nei sogni, al rapporto tra cibo, potere e piacere e, infine, al cibo in Omero.
Quest’ultimo riferimento giustifica il titolo, ma va detto che Omero è solo una – e neppure la più ricca – delle tantissime fonti citate. Le più rilevanti sono ovviamente Apicio, autore del De re coquinaria (unico manuale di ricette romane che possediamo), e il greco Ateneo di Naucrati che scrisse I sapienti a banchetto. Ma non mancano citazioni di autori più o meno noti, da Efippo a Marziale, da Linceo di Samo a Teofrasto. E c’è spazio anche per vere e proprie ricette a base di razza o di lattuga, di calamari o cinghiale, fino ad arrivare agli eccessi del cammello arrostito e dell’appetitoso fenicottero al burro!

Un libro stuzzicante che di certo non sazierà la curiosità del lettore, ma semmai lo spingerà ad approfondire la ricerca sui temi più svariati, come le abitudini dei Greci e dei Romani a tavola: pranzi luculliani (appunto) e interminabili accompagnati da canti e balli, oppure brevi pasti da consumarsi sdraiati sul kline o sul triclinio, da cui deriverebbe l’usanza greca di mangiare ancor oggi pietanze tagliate in pezzi molto piccoli per facilitarne l’ingestione in quella curiosa posizione.
Forse non scopriremo mai come mangiavano davvero i nostri avi - quelli che potevano permetterselo - ma perlomeno grazie a queste pagine riusciremo a sfatare i luoghi comuni come quello relativo ai Greci, dei quali i Persiani dicevano che “terminavano il pasto quando avevano ancora fame”: sacrilegio!
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Il Mangelo 2008

Avevamo lasciato il Mangelo nel 2006, quasi agli esordi; lo ritroviamo due anni dopo, ormai affermato e maturo ma sempre in grado di stupire chi ancora non lo conoscesse, grazie alla sua formula originale e innovativa. Riassumiamo in breve: a differenza delle guide tradizionali, il Mangelo si basa sulle segnalazioni e i voti dei lettori, e una selezione dei giudizi lasciati da questi ultimi va a comporre le sintetiche recensioni. Tre sono i criteri di valutazione (da 1 a 10): cucina, servizio e ambiente. In base a questi si possono comporre le classifiche più svariate: dal “peggior rapporto qualità-prezzo” al “miglior ristorante sudamericano”, e così via. La guida è disponibile in due edizioni: 900 ristoranti per quella di Milano, 884 per Roma, entrambe di 256 pagine e in vendita al prezzo di 15 euro.
Gli inconvenienti di questa soluzione rimangono immutati negli anni: innanzitutto, il Mangelo è una guida esclusivamente cittadina, perché solo nelle metropoli può trovare un bacino d’utenza abbastanza ampio da rendere credibili i suoi giudizi. Le valutazioni dei lettori saranno pure “democraticamente” ripartite, ma in più occasioni lasciano quantomeno perplessi: basta leggere frasi come “la sala interna può avere odore di cibo” oppure “per essere a menu fisso si mangia bene” per capire che fidarsi ciecamente non è consigliabile. Per concludere, la guida cartacea soffre il confronto con il sito, decisamente più rapido, interattivo e per di più gratuito.
Tuttavia, c’è il rovescio della medaglia: gli stessi difetti da noi citati possono rivelarsi pregi, se si cercano indicazioni essenziali e giudizi condivisi su un locale. Le classifiche, benché arbitrarie, costituiscono un aiuto eccezionale per chi parte da zero nella scelta di un ristorante. Inoltre, la consultazione della guida è davvero comoda e pratica grazie ai tanti indici per tipologia di cucina, all’utilissima mappa della città e alla sezione “Il Mangelo secondo te” che offre un piccolo calendario per programmare pranzi e cene.
Va segnalato infine che i curatori della guida non hanno rinunciato a un piccolo tocco “d’autore”, inserendo un elenco di “Ristoranti Slurp”, ossia quelli preferiti dai redattori che, per una volta, se ne infischiano dei giudizi altrui: sarà pur vero che “il cliente ha sempre ragione”, ma quando i clienti siamo noi ne ha certamente di più...

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